domenica 16 dicembre 2012

L'anima


Esiste l’anima, che cos’è e dove si trova?

Già nel 1906 un medico statunitense, il dr. Duncan MacDougall, cercò di dimostrare l’esistenza dell’anima pesando la massa persa (circa 21 grammi) da un certo numero di persone al momento della morte, ossia nel momento in cui l’anima lascerebbe il corpo.

L’anima esiste e non coincide con la mente. L’anima è più della mente, è distribuita in tutte le parti del nostro corpo ma non ha bisogno del nostro corpo per esistere, è un tutt’uno con noi ma continuerà a esserci anche al di fuori o dopo di noi. L’anima è ovunque, è eterna ma mutevole. È un’essenza dotata di intelligenza, un contenitore di memorie che appartengono a vite già vissute e anche molto lontane. Conserva dentro di sé esperienze e dunque conoscenze che possono, senza averne il sopravvento, influenzare la nostra vita attuale, oppure predisposizioni che potemmo essere in grado di sfruttare.

L’anima si articola su tre livelli e nella sua evoluzione si rafforzerà e sgancerà man mano dalle memorie a cui è temporaneamente unita fino a rimanere un’unica e illuminata essenza. I vari problemi (affettivi, finanziari, di salute) che ci troviamo ad affrontare in una vita non sono altro che delle esperienze da percorrere affinché anche la nostra anima possa crescere ed evolvere. E a seconda del livello in cui l’anima agisce, avremo reazioni diverse alle cause della vita.

Non esistono anime buone e anime cattive, a prescindere. I concetti di buono e cattivo, giusto o sbagliato, sono piuttosto valutazioni umane per catalogare un modo di agire. Anche l’anima di un criminale non ha una connotazione negativa. Non è l’anima che lo porta a commettere dei crimini, ma piuttosto la sua ragione, ossia il controllo più o meno razionale che veicola l’anima. In questo caso tuttavia il percorso spirituale della sua anima e delle anime che ha al suo interno sarà più lungo e difficile, poiché ogni azione o sentimento negativo interrompe il suo processo evolutivo, obbligandola a reinserirsi in altre memorie nel prossimo percorso che dovrà fare.

Allo stesso modo, l’anima non è consapevole di essere eterna e di fatto può anch’essa ammalarsi e deperire proprio come il corpo. L’anima ha un continuo bisogno di essere alimentata, proprio come il corpo ha bisogno di cibo. Quando una persona si ammala, si verifica gioco forza un abbassamento della forza vitale, un indebolimento del corpo (dell’involucro) fino ad arrivare ad un deperimento dell’anima e infine alla morte.

Attraverso la forza vitale l’anima mantiene in vita la persona. Lavorando dunque sulla forza vitale, si arriva ad alimentare anche l’anima e aumentare le proprie capacità di auto guarigione. L’anima non occupa tuttavia soltanto il nostro corpo fisico ma interagisce con esso attraverso tutti i nostri aspetti emozionali, gli impulsi sensoriali esterni e i sentimenti. Negli ultimi anni, molte forme di medicina alternativa, penso ad esempio all’omeopatia, la pranoterapia, la medicina naturale cinese e quella antroposofica, si sono avvicinate agli aspetti somatici della malattia. Sono convinto che nel futuro si cercheranno sempre più “medicine dell’anima” per garantire un’armonia completa e un benessere psicofisico della persona.



martedì 27 novembre 2012

Cosa vedono i miei occhi


Sin da quando sono bambino, convivo con due mondi diversi: il primo quello terreno, che ogni giorno ognuno di noi assaggia, e poi un altro mondo, che forse ne è semplicemente la continuazione, che negli anni ho imparato ad accettare e che ora è parte integrante della mia vita privata e professionale. Anche se di solito preferisco nascondermi dietro una facciata di simpatica normalità, adeguandomi alla situazione o alle persone che ho di fronte, nel momento in cui vengo esplicitamente interpellato e capisco un sincero e disinteressato interessamento all’argomento, posso aprirmi e parlare di me con molta semplicità.

Molto semplicemente devo dunque ammettere di vivere e vedere un mondo parallelo.
In altre parole, sono in grado di vedere entità con sembianze identiche alle nostre ma che riconosco come persone defunte. Non dimentichiamo che, al momento della morte, continuiamo a portarci dietro l’energia che ha abitato il nostro corpo fisico per anni e che, in un modo o nell’altro ha ancora le nostre sembianze o quelle che sceglieremo di avere. In altre parole, anche nell’aldilà abbiamo un aspetto esteriore unico che però, se vogliamo, riusciamo a modificare a piacere.

Queste entità possono trovarsi per strada, sul treno, in casa di amici, al ristorante, non importa dove. La maggior parte delle volte ovviamente non le conosco: se necessario riesco a comunicare con loro ma altrettanto spesso le ignoro, alla stessa maniera in cui potrei ignorare persone vive a me sconosciute. Al contrario ci sono altre entità, le mie cosiddette ‘guide’, con le quali ho invece un rapporto quotidiano, ormai amichevole e familiare, e che mi accompagnano e aiutano nel mio cammino spirituale e professionale.

La comunicazione con queste entità è un fenomeno per me normale e difficile da spiegare, anche perché non mi è necessaria alcuna pratica o dinamica preparatoria: per intenderci, nessuna trance, assenza o ipnosi. Ovviamente le modalità di contatto con queste entità trascendono la lingua parlata e la comunicazione avviene a un livello mentale con uno scambio reciproco di pensieri. È per questo che non vi sono barriere linguistiche e riesco a comunicare anche con entità che non parlano italiano. Il dialogo tra me e loro è come se fosse nella mia lingua.

Può capitare tuttavia che parlino tra di loro e io assista semplicemente ai loro discorsi. A volte tacciono, a volte mi danno consigli. Non sempre comunque ottengo risposte alle mie domande, perché tutto dipende da quanto mi è concesso e utile sapere. Se le mie guide ritengono che divulgare determinate informazioni, pregiudicherebbe il mio percorso di apprendimento (o della persona toccata), non ricevo risposta alcuna. Ci sono cose nella vita che, nel proprio percorso di evoluzione, ognuno deve scoprire da solo.

Delle volte invece riescono addirittura ad avere un forte senso dell’umorismo.
Vedendo il nostro affannarci dietro a certe cose e comprendendone l’inutilità, spesso e volentieri ironizzano sui nostri comportamenti, come un adulto potrebbe sorridere delle ingenuità di un bambino. E come accade anche a noi, non sempre le discussioni toccano forzatamente argomenti profondi. Nell’aldilà si può ridere e scherzare, ci si diverte, ci si dedica a tutto quanto da più piacere e lo si fa con piacere.
Altrimenti che paradiso sarebbe?


venerdì 16 novembre 2012

Omaggio a Gustavo Rol


Difficile riuscire a spiegare in poche parole chi era Gustavo Rol. Nato a Torino nel 1903 e morto all’età di 91 anni, uomo colto e raffinato, laureato in giurisprudenza, amante dell’arte e della musica, proveniente da famiglia borghese benestante e sposato a una nobildonna norvegese, Rol è oggi conosciuto come il più grande sensitivo e veggente del secolo e ciò malgrado lui stesso non amasse essere considerato tale.

Pur rifiutando ogni allusione al paranormale e sempre restando persona riservata e modesta, Gustavo Rol era solito invitare regolarmente nella sua casa di via Pellico gli amici più cari con i quali condivideva i suoi “esperimenti” (poteva trattarsi di lettura e scrittura a distanza, pittura automatica, telecinesi, materializzazione di oggetti, oppure lettura del pensiero, diagnosi mediche, bilocazione, fino al passaggio attraverso i muri).

Di questi fenomeni e di altri ancora sono riportate numerose testimonianze, non solo dei più stretti amici ed estimatori di Rol, ma anche di giornalisti, scrittori, scienziati e uomini di stato che entrarono in contatto con lui (per citarne alcuni tra i più famosi, Federico Fellini, Franco Zeffirelli, la famiglia Agnelli, Cesare Romiti, fino a Albert Einstein, Mussolini e Charles De Gaulle). Si dice che Rol non chiese né accetto mai denaro da nessuno, probabilmente anche perché non ne aveva necessità alcuna.


Questi incontri privati si aprivano sempre con prestigiosi ed impressionanti giochi di carte. Un’abitudine che Gustavo Rol aveva adottato, prima di entrare a parlare di argomenti ben più complessi e spirituali, a mio avviso con l’intento di riscaldare l’ambiente, di sdrammatizzare e dissacrare gli argomenti seri e spirituali che seguivano, e tentare di mettere in chiave “normale” fenomeni in realtà paranormali. Con i suoi “esperimenti”, Rol voleva invece far riflettere sull’esistenza di un’altra dimensione, spirituale, energetica, divina, a seconda dell’interpretazione di ognuno.

Rol non lasciò molti scritti o dichiarazioni, ma sicuramente enormi spunti di riflessione. La sua frase più emblematica fu questa: “Ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta nota musicale ed il calore”. Il suo messaggio resta dunque molto ermetico, non di larga portata e diffusione né di immediata comprensione. Per i numerosi riferimenti all’alchimia, alla metafisica e alla simbologia, chi si è avvicinato al pensiero di Gustavo Rol, o chi lo farà, deve aver intrapreso un cammino introspettivo e iniziatico.

Più in generale comunque, il suo grande pregio è stato sicuramente quello, in un’epoca di grande materialismo, di aver affermato la presenza di Dio e di una vita ultraterrena e di aver riavvicinato l’uomo al divino senza intermediari (come già riportavano i vangeli gnostici, “Oh Dio, fammi Dio!”).



domenica 11 novembre 2012

L'Angelo custode


Ognuno di noi, che ci creda oppure no e indipendentemente dalla religione che professa, ha un Angelo custode al suo fianco.

La figura dell’Angelo non si limita alla tradizione cristiana ma è presente in tutte le religioni, con forme analoghe o con significati diversi a seconda del contesto in cui si collocano.

Nella gerarchia degli Angeli, gli Angeli custodi, seppur entità evolute, appartengono all’ordine più basso. Essi sono mandati da Dio per proteggere ed evolvere la persona nel suo percorso e saranno tanto più evoluti quanto più la persona a loro affidata è esposta a necessità di sostegno spirituale.

Si avvicinano a noi sin dal concepimento, sono con noi al momento del parto e ci affiancano ogni giorno della nostra vita, costantemente sempre, fino alla morte. È difficile, se non impossibile, che un umano non abbia accanto a sé un Angelo. Anzi, è addirittura possibile che ne abbia più di uno (insomma vi garantisco che in giro c’è una quantità enorme di Angeli...). Dovete invece sapere che, molto raramente l’Angelo custode è un nostro parente o una persona che ci è stata vicina nella vita.


 Gli Angeli esistono a una frequenza vibrazionale un po’ più sottile di quella percepibile ai nostri sensi. A parte medium e sensitivi, solo pochi animali molto sensibili (gatti, cavalli e delfini) riescono a percepire la loro presenza o il movimento degli Angeli. Questo significa che non possiamo vederli e ascoltarli ma loro possono invece farlo con noi. Gli Angeli non hanno bisogno di essere invocati con la preghiera, loro conoscono le nostre difficoltà, loro sanno quando abbiamo bisogno di aiuto. Sia che li preghiamo o meno, loro ci sono.

E ci aiutano. Perché il loro compito è quello di proteggerci, di alleggerirci dalle difficoltà, di essere i custodi della nostra anima.
L’Angelo custode può influenzare la nostra realtà o può indirizzarci con dei segnali verso determinate scelte, ma sta sempre a noi cogliere i suoi messaggi e la loro importanza. L’Angelo custode non è infatti in grado di intervenire sulle azioni del singolo individuo, buone o cattive che siano, poiché a tutti noi è garantito il libero arbitrio.

L’Angelo è custode della nostra anima, non del nostro corpo. Il suo intervento è dunque limitato alla salvaguardia del nostro spirito, all’evoluzione della nostra anima. Di fronte alle richieste di guarire da una determinata malattia, è dunque purtroppo difficile che l’Angelo custode possa aiutarci, perché egli non è stato mandato con il compito di proteggere il nostro corpo. Anzi, può capitare che sia proprio la malattia lo strumento per migliorare la nostra anima, e per questo inevitabile.



giovedì 1 novembre 2012

La commemorazione dei defunti


Si avvicina come ogni anno la commemorazione dei defunti, ricorrenza che la chiesa cattolica festeggia il 2 novembre e che ha come consuetudine quella di visitare i cimiteri locali e portare in dono fiori sulle tombe dei propri cari.
Ammetto di non essere un frequentatore del cimitero, malgrado diversi anni fa abbia perso la nonna a cui ero molto legato. Anzi, a dire la verità, sarò stato sì e no due volte sulla sua tomba.

I defunti non riposano al cimitero. Lì ci sono solo le loro spoglie ossia l’involucro che abitavano per vivere l’esistenza terrena ma che hanno ormai abbandonato definitivamente. Ora sono anima, energia, coscienza, vivono in altre dimensioni e desiderano solo raggiungere la luce di Dio.
E poi i defunti non riposano proprio! Altro che invocare per loro “L’Eterno Riposo”! Nell’aldilà ci attende un lavoro intenso teso ad aiutare gli altri e a migliorare se stessi, una vita intensa e frenetica ma ricca di soddisfazioni personali!

È giusto ricordare le persone abbiamo amato e che non ci sono più e possiamo farlo nella maniera che più ci piace, quando più ci piace, senza farci prendere dai sensi di colpa o dalla paura del giudizio divino. Ai nostri cari non importa se osserviamo o meno questa festività, se andiamo o meno a visitarli al cimitero. Per loro non esistono tempi e ricorrenze e si sono staccati dal giudizio e dal consenso nei nostri confronti. Pregare per loro o portare fiori sulla loro tomba, non cambia la loro evoluzione spirituale.

Se invece andare al cimitero è la maniera per sentirsi più vicini a chi non c’è più, ben venga. Andiamoci cercando di pensare alla morte stessa come una festa, come un dono, perché la morte non è solo la rinascita in un’altra dimensione, ma è l’unificazione con Dio, con l’Amore puro. Ogni persona è un miracolo, una scintilla di quell’assoluto da cui si proviene e a cui si torna.

Chi ci ha amato non ci ha lasciato, ha solo cambiato il modo di essere con noi. Continua a vivere nei nostri sorrisi, nei nostri pensieri ed è al nostro fianco spiritualmente, perché la vita continua, nonostante tutto e comunque.


venerdì 26 ottobre 2012

Comunicare con l'aldilà


La comunicazione con l’aldilà affascina da sempre molte persone, sia per semplice curiosità o per avere un contatto con una specifica persona che non c’è più oppure ancora per ottenere risposte o informazioni riguardo alla propria vita o al proprio futuro. Medium e sensitivi sembrano moltiplicarsi a vista d’occhio, basta aprire le pagine di un giornale per trovarci pubblicità di ogni genere, persone che garantiscono risposte e soluzioni a qualsiasi tipo di problema. Ho conosciuto sensitivi e persone dotate di facoltà eccezionali in grado di aiutare il prossimo, ma purtroppo questo è perlopiù un mondo ricco di impostori, persone che si improvvisano medium o veggenti e che lucrano sui problemi e sulla disperazione della gente.

Il mio primo consiglio è quello di diffidare da chi vi presenta false speranze, da chi tenta di inculcarvi paure o dipendenze, da chi pretende di guarire da ogni malattia o di risolvere ogni problema. Io stesso non sempre ottengo risposte alle mie domande. Tutto dipende da quanto mi è concesso e utile sapere. Tengo a sfatare immediatamente il mito che io possa venire a conoscere in anticipo tutto ciò che mi circonda, compresi i numeri del lotto! Se le mie guide ritengono che divulgare determinate informazioni pregiudicherebbe il mio percorso di apprendimento o della persona interessata che ho di fronte, non ricevo risposta alcuna. Ci sono cose nella vita che, nel proprio percorso di evoluzione, ognuno deve scoprire da solo. Certi valori e certi ideali che fanno parte del piano materiale sono estranei a quello dell’aldilà, come appunto la richiesta di una vincita alla lotteria!

Il secondo consiglio è evitare il “fai da te”, affidandosi a sedute spiritiche (termine generale che include parecchie tecniche di evocazione dei defunti), fosse solo per curiosità o per gioco. Sono pratiche che personalmente non svolgo (o per lo meno non in maniera volontaria) e che trovo vadano a disturbare un mondo molto particolare, con dinamiche difficili da gestire.

Vorrei poi sottolineare come molte di queste comunicazioni medianiche possono anche essere falsate o difficoltose, proprio per la struttura stessa e le dinamiche del post mortem. Un’anima, dopo la morte, prende strade differenti. Potrebbe reincarnarsi in questo piano o essere in transito verso piani evolutivi diversi, pertanto chi si presenta nelle comunicazioni spiritiche non necessariamente è la persona che dice di essere. Si può trattare in questo caso di altre “memorie” o vibrazioni spirituali che in un certo qual modo si travestono e si presentano ai medium con una certa identità in ragione di una specifica finalità. Il fatto poi che qualcuno sia morto e ora identificato nella forma spirituale non gli conferisce immediatamente una grande saggezza o una onniscienza: accanto a entità evolute e di livello superiore, vi sono anche spiriti ignoranti e sciocchi come lo potevano essere nella vita. O, peggio, entità inferiori (appartenenti cioè a un livello di perfezione più basso), che possono manifestare atteggiamenti negativi o malvagi.

Non dimenticate infine che comunque tutti i giorni noi siamo in contatto con l’aldilà, ogni istante. Il problema è che spesso non riusciamo a rendercene conto. Dall’altra parte della soglia ci vengono trasmessi molti segnali, tante volte a livello onirico, a volte sul piano squisitamente pratico, ma non sempre riusciamo a cogliere questi messaggi, perché siamo disturbati dal “rumore e dalle interferenze” del piano materiale. Penso ad esempio a una luce che si spegne improvvisamente senza motivo, a un oggetto che si era perso e ritrovato proprio dove continuavamo a guardare, a un particolare sogno che ci ha svegliati il mattino. Semplicemente, siate più sensibili e aprite la mente a un mondo più spirituale!




venerdì 19 ottobre 2012

La mia infanzia


Non ho avuto un’infanzia facile.
Già intorno all’età di tre anni ho iniziato a vedere attorno a me volti o figure che mi accompagnavano silenziosi ovunque andassi. Poco a poco ho imparato a comunicare con loro, cosicché riuscivo a godere della loro compagnia, senza peraltro pormi grandi domandi di chi fossero e da dove venissero queste entità. Per me erano semplicemente degli amici.
Inizialmente in famiglia non prestarono troppa attenzione a questo mio isolamento dalla realtà; spesso i bambini si ritagliano un mondo di amici immaginari che svaniscono con la crescita.

A seguito della prima NDE, la mia infanzia subì un ulteriore forte cambiamento e in un certo modo fu vissuta in maniera più restrittiva rispetto ai miei coetanei. I miei genitori, temendo per la mia incolumità a causa dell’allergia agli anestetici e avendo paura che mi facessi male, diventarono ancora più protettivi: niente partite di pallone, nessuna scorribanda con altri bambini, era meglio stare a casa. E quindi spesso mi ritrovavo solo nella mia camera, isolandomi ancora di più nel mio mondo.
Pur essendo troppo giovane per dare un senso a tutto ciò che vivevo, dopo la NDE mi sono reso conto che le entità che avevo incontrato oltre la soglia erano le stesse che vedevo tutti i giorni e che c’era quindi un collegamento con un mondo ultraterreno. Inoltre, in alcuni periodi soffrivo pure sul lato fisico, con improvvise, prolungate e inspiegate febbri.

Ammetto che la situazione non era semplice da gestire né per me, né per i miei genitori che erano evidentemente preoccupati.
La razionalità di mio papà lo portava semplicemente a vedermi come un bambino malato. Cercò risposte nella medicina e nella psichiatria, portandomi in analisi da specialisti e luminari nella speranza di ottenere risposte che mai arrivarono. Non avevo nulla di patologico. Mia mamma, con la sua fede, era invece più propensa a credere che fossi vittima di qualche forza negativa non ben identificata e mi fece girare diversi esorcisti e sacerdoti. Ma anche in questo caso, nessuno sapeva dare una spiegazione, non avevo nulla di diabolico…

Dal canto mio, percepivo ma non comprendevo appieno la mia diversità. Certo, se mi paragonavo ai miei coetanei non mi vedevo come loro, ma fortunatamente non me ne importava granché, non sono mai stato un conformista. Ho imparato a gestire la situazione con i miei (pochi) amici, semplicemente evitando di raccontare loro le cose che vedevo e sentivo e dandomi da fare per comportarmi in maniera “normale”. Con il passare degli anni ho pian piano accettato questo mio mondo, senza mai farne né un vanto, né un handicap, anche se non sempre si tratta di situazioni piacevoli o positive da vivere sia sul piano fisico che spirituale.

Mi rendo conto del rischio che corro - oggi come allora - di non essere creduto o essere considerato folle o semplicemente ridicolo. Spesso ancora taccio o sorvolo di fronte al palese scetticismo o alla strafottenza di alcune persone, perché so che fondamentalmente è dettata dalla paura dell’ignoto.
La mia forza resta comunque la consapevolezza che le mie doti, indipendentemente se la persona che ho di fronte ci creda o meno, la possono aiutare. E di questo ne vado fiero.



sabato 13 ottobre 2012

Al di là dei sogni


Da sempre il tema dell’Aldilà ha ispirato diversi artisti - scrittori, pittori, ma anche registi e compositori - che hanno tentato nelle loro opere di descrivere la vita ultraterrena. Obiettivo non facile, se si pensa che tutti coloro che lo hanno visitato con un’esperienza di premorte, riportano impressioni visive, uditive, tattili e persino olfattive molto vivide, più intense di quelle terrene: colori mai visti, musiche mai sentite, paesaggi e luci oltre ogni immaginazione. Oltre ai cinque sensi amplificati, vi sono poi esperienze propriamente sovrannaturali quali la telepatia, il teletrasporto o la possibilità di creare col pensiero qualsiasi cosa.
Un film che ho particolarmente apprezzato e che è in gran parte riuscito a descrivere la vita oltre la morte, è “Al di là dei sogni” (titolo originale “What dreams may come”, di Vincent Ward, con Robin Williams), che nel 1999 ha vinto l’Oscar per i migliori effetti speciali e scenografia. In realtà il film, seppur amato dal pubblico, è stato stroncato dalla critica, che forse non ha apprezzato la storia d’amore un po’ melensa, ma non ha neppure colto la profondità dei difficili temi toccati.
I due attori protagonisti interpretano una coppia felice che deve prima affrontare la morte del cane, poi dei due figli e che viene poi separata, quattro anni più tardi, dalla morte di lui in un incidente stradale. Descritto così il film sembra un’ecatombe, una tragedia dall’inizio alla fine! In realtà, malgrado la drammaticità della storia e la descrizione della sofferenza terrena dei protagonisti, il film è un inno all’amore, vuole infondere una grande speranza e fare riflettere sul senso della morte, dell’amore e della vita dopo la morte.


Vengono mostrate, in maniera a mio avviso abbastanza corretta, diverse fasi, quali il passaggio nell’aldilà, la presa di coscienza della morte e il distacco dal mondo reale, l’analisi del proprio vissuto, l’incontro con gli angeli della morte (di cui ho già parlato), con gli spiriti guida, la reincarnazione e altri ancora. Ma penso che questo film più di altri sia riuscito sia a dare una giusta idea di quello che è il Paradiso, che in maniera molto semplice, non è nient’altro che il luogo idilliaco che ognuno di noi ha immaginato nella vita terrena. Con colori ed effetti speciali, si percepisce l’unicità del luogo, che per il protagonista corrisponde ai paesaggi raffigurati nei quadri della moglie pittrice.


Personalmente non concordo invece con l’approccio dato dal regista verso il suicidio e più in generale con la sua descrizione dell’Inferno, ispirato più a Dante Alighieri che all’amore e al perdono di Dio. Ma su questo argomento, ci ritorneremo.
Termino con una delle frasi più belle del film e il consiglio a tutti di vederlo (o rivederlo): “La gente spesso definisce impossibili cose che semplicemente non ha visto". 




venerdì 5 ottobre 2012

Come stanno i nostri cari morti?


Una delle questioni che più spesso mi sento chiedere dalle persone che si rivolgono a me, è se i loro cari morti stanno bene o male e se esiste un modo per sentire la loro vicinanza e il loro supporto.

Posso dire con grande sicurezza che stanno benone! Anzi, sono felici! Senza preoccupazioni, sani, leggeri come una piuma, con un corpo sempre giovane che non ha dolori e fastidi. Sono felicemente impegnati a imparare tutto sulla la vita e l'eternità, e spesso sono coinvolti da attività che desideravano realizzare quando vivevano sulla terra, ma che non potevano svolgere. Non vi hanno dimenticato, ma devono comunque lavorare e lasciare voi e i vostri familiari vivere le vostre vite. In altre parole, non sono molto preoccupati di rimanere intorno a voi: sono occupati e sanno che avete una vita da vivere.


Sul perché non comunicano spesso con noi, o affatto, una delle ragioni è che è difficile per loro fare ciò. Non è qualcosa che loro possono fare facilmente e, d'altra parte, poche persone hanno capacità medianiche per ricevere le loro comunicazioni. La maggior parte degli Spiriti inoltre non é capace di giungere fino al nostro livello. Possono percepire i nostri pensieri, ma potrebbero non essere in grado di comunicarci i loro.
In realtà, n
on sono granchè preoccupati per noi: ora sanno la verità cioè che noi, come loro, siamo esseri eterni. Vivremo la nostra vita e la transizione verso il piano successivo dove ci aspettano, ma nel frattempo, sanno che poco possono davvero fare per aiutarci con le nostre lotte, perchè dobbiamo lavorarci sopra da soli, imparando dalle diverse lezioni della vita terrena.

Tuttavia, è possibile ricevere la loro assistenza, anche se ciò non avviene nel modo in cui ci si potrebbe aspettare o desiderare. Ad esempio, si può avere una visione improvvisa o una sensazione di calma e di pace nel bel mezzo di una preoccupante situazione. Potreste inaspettatamente incontrare qualche persona terrena che avete bisogno di sentire, o potreste trovare "per caso" informazioni utili a risolvere un problema che vi affligge su un libro o in televisione. Ognuna di queste intuizioni potrebbe esservi stata inviata da qualche Spirito che, se lo desidera, può così trasmettere il suo messaggio.  
I nostri pensieri più intensi raggiungono i nostri cari nella vita ultraterrena e loro rispondono venendoci accanto di tanto in tanto, anche se non possiamo chiaramente vederli. Spesso tornano quando si pensa a loro, ma non osservano compleanni e anniversari, perché nella vita ultraterrena non esiste il tempo come noi lo conosciamo. 
 Se il vostro caro vi ha lasciati da neonato o da bambino, resterà per un pò con gli altri membri della famiglia che vi hanno preceduto. Essi continueranno a crescere il bambino con amore, e voi vi riunirete con lui al momento della vostra transizione. 
Anche gli animali domestici sono accuditi dai membri della famiglia fino all'arrivo dei proprietari nell'Aldilà quando l'animaletto ritorna a vivere col suo vecchio padrone. 

La risposta è dunque chiara: sono più felici di quanto non lo siano mai stati, ma sono sempre con noi e sanno che si sono separati solo per un breve periodo. E ricordate: sono più felici quando noi siamo felici.



venerdì 29 giugno 2012

La mia seconda NDE


Il 15 giugno del 2004 era iniziato come un giorno qualsiasi. Dopo il lavoro mi ero recato a casa dei miei genitori per salutarli. Da mesi non stavo bene. E sapevo, o meglio sentivo, che stava per accadere qualcosa, ma non riuscivo a dare una forma a questo pensiero che con insistenza si affacciava alla mia mente. Avevo appena addentato un pezzo di cioccolato (la mia passione!) offertomi da mia madre, quando tutto ad un tratto mi sono sentito mancare. Coma glicemico.

A differenza della prima esperienza vissuta nell’infanzia, questa volta ricordo di essere letteralmente uscito dal mio corpo e di aver visto l’ambiente circostante dall’alto, pur mantenendo una piena consapevolezza di emozioni e sensazioni. Ho vissuto quella che viene chiamata OBE, l’acronimo dell’inglese “Out of Body Experience”, ossia l’esperienza di una persona che per qualche ragione (di solito è stata riferita a seguito di incidenti, di crisi epilettiche, ma può succedere anche spontaneamente durante il sonno o per propria volontà) percepisce se stessa come esistente fuori dal proprio corpo fisico e/o proietta la propria coscienza oltre i confini corporei. Non mi addentrerò per ora nelle complicate e divergenti spiegazioni riguardo a tale fenomeno, ma preferisco iniziare col raccontare semplicemente il mio vissuto.

Sono ancora vividi nella mia mente gli istanti che precedettero il mio ritorno in quel luogo che avevo visto da bambino e in cui mi rifugiavo nei momenti bui della mia vita. Ricordo mia madre dirigersi verso di me, disperata, il pianto di mia sorella e quel suono simile a un ululato, che scoprii provenire dal mio corpo ormai inerte su una sedia, privo di sensi. Avevo la piena consapevolezza di tutto ciò che mi circondava ma vedevo tutto da fuori, dall’alto.

Mentre mia madre piangeva seduta su una sedia e mia sorella, molto scossa, tentava di consolarla, avrei voluto dire loro che stavo bene, di non preoccuparsi… ma non potevano sentirmi. Eppure non avevo paura. Ero sereno. E non ero solo. Accanto a me, oltre ai vivi, percepivo chiaramente altre presenze che però inizialmente non interferirono con me e con quello che stavo “vivendo”.

Vidi arrivare un uomo che indossava gli abiti di volontario della Croce Rossa. Io conoscevo quella persona. Lavorava ai tempi come postino, ma non sapevo e mai avrei immaginato che operasse anche come volontario sulle ambulanze. Quando lo vidi avvicinarsi verso di me, inizialmente non capii nemmeno il suo ruolo in quella circostanza... Seguii l’ambulanza dall’alto, tra il curioso e il divertito. Libero. Fuori dallo spazio e dal tempo

Ero morto? Lo sarei restato per sempre?
Visto e considerato come ero messo, le possibilità di non ritorno erano elevate. I valori della mia glicemia avevano superato ogni ragionevole limite, ma ancora una volta non era il mio momento. E mi risvegliai in un letto d’ospedale.



sabato 23 giugno 2012

Il senso della mia spiritualità

Parlare di spiritualità, oggi, è molto più facile di quanto non avvenisse in passato.
Ho quotidianamente contatto con decine e decine di persone e posso con tranquillità confermare che esiste un crescente bisogno di dare un senso alla nostra esistenza. In questo periodo di difficoltà economica, di crisi dei valori tradizionali, si è sempre più in cerca di altre certezze. Uno degli obiettivi è quello di ritrovare quel senso di appartenenza, non solo alla famiglia, alla comunità, ma all’universo stesso. A prescindere dall’esistenza o meno di un credo personale, sta nascendo in maniera generale una nuova spiritualità.
Spiritualità non significa religione. Non amo questo termine, perché nella sua etimologia sottende non solo un’idea di formalità, quasi di intransigenza, ma anche di riverenza e timore della divinità.
 A mio avviso lo spirito non ha vincoli, per natura è libero e non deve temere Dio, anzi. Dio parla direttamente nel nostro cuore ogni istante e lo fa nei modi più vari, senza bisogno di intermediari.

Per quanto mi riguarda, credo profondamente in Dio e nella sua misericordia. Ma la mia spiritualità è fatta più di fede che di dogmi. Sono infatti dell’idea che le religioni sono opera dell’uomo, non di Dio. Ma la vera “religione” è la religione di Dio, di cui noi siamo parte. Verrà un giorno in cui esisterà un’unica fede e sarà la fede in Dio, senza orpelli e strutture.
Sebbene sia cresciuto in un contesto cristiano e  mi senta cristiano nei valori e nella cultura, capisco i motivi per cui la Chiesa cattolica sta vivendo una profonda crisi: in maniera molto banale, penso che non riesca a stare al passo con le esigenze e i cambiamenti culturali e sociali del nostro tempo.

In un certo senso la New Age ha cavalcato quest’onda già a partire dagli anni ’80. Sotto questo termine sono state fatte ricadere realtà alternative di esplorazione personale della spiritualità: stili di vita, filosofie, fede e religioni, ma anche terapie anima-corpo, magia, esoterismo.
Se all’inizio rimasi colpito da questo fenomeno, approfondendone le dinamiche mi sono accorto del rischio perverso di dipendenza che può creare, soprattutto in chi magari si trova in un momento di forte difficoltà, vuoi spirituale, vuoi emotiva, vuoi personale. Il pregio che riconosco comunque alla New Age è quello di aver richiamato l’attenzione su pratiche terapeutiche alternative alla medicina tradizionale, di offrire spiegazioni e interpretazioni diverse ai classici schemi culturali religiosi e sociali del mondo occidentale, e di basarsi su una forte sensibilità ecologica e ambientalista.
Tuttavia non mi riconosco in nessuna associazione o movimento di questo tipo. Non sono l’unica persona a vivere e aver vissuto esperienze particolari, e non mi riferisco solamente al “ritorno” dalla morte (molte di queste si sono perfettamente inserite in un contesto New Age, nel cosiddetto channelling). 

Preferisco staccarmi da ogni genere di riferimento di questo tipo. Io non ho nulla a che vedere con l’occultismo, al limite sono l’esatto opposto, perché il mio compito non consiste nell’appoggiare “l’occultamento” quanto piuttosto nel rivelare ciò che per tante persone resta ancora “occulto”.

lunedì 18 giugno 2012

Gli Angeli della morte


Grazie alle esperienze che ho vissuto e ad altri racconti di NDE che ho potuto raccogliere, ma soprattutto basandomi sugli insegnamenti ricevuti dalle mie guide, talvolta supportati da letture di altri autori sull’argomento, posso riassumere quello che so o credo di sapere riguardo al passaggio che tutti affronteremo, quello dalla vita alla morte. Cosa ci succede quando si muore?

Inizialmente ci si trova a galleggiare, a gravitare fuori dal corpo, quell’involucro che ha permesso la vita terrena ma che ora non serve più. In quell’istante ricordiamo tutti i momenti positivi e negativi, tutti gli episodi della nostra esistenza. Come in un film, rivediamo e prendiamo coscienza di tutte le nostre azioni e degli effetti che hanno avuto su di noi e sugli altri.
Poi si apre il tunnel, il canale, il ponte che ci porterà verso la Luce.

Come già detto, una delle più grandi paure delle persone, oltre quella di soffrire, è il dover affrontare l’ignoto o anche il nulla (a dipendenza delle proprie convinzioni religiose). In realtà questa paura si trasforma quasi sempre in una sensazione di attesa gioiosa. In quel momento in cui spesso si vivono sentimenti di titubanza e di paura, veniamo infatti accolti da persone conosciute e già defunte, di solito parenti più stretti a cui si era più legati in vita. Queste persone ci sorridono, ci accolgono, ci parlano, tranquillizzandoci. Grazie alla fiducia trasmessa da queste persone, subentra in noi l’interesse, il desiderio di seguirli, di lasciarsi andare nell’Altra dimensione. Il corpo fisico non ci interessa più e viene definitivamente abbandonato.
E così, sostenuti da queste figure familiari che pian piano ci lasciano andare, veniamo catturati dalla Luce.

Ma ecco che, nello stesso momento, possiamo accorgerci che le persone che ci avevano accompagnati, non sono più le stesse, non hanno più le stesse sembianze: la mamma non è più nostra mamma, il figlio non è più nostro figlio… Ma allora chi sono?

Sono i cosidetti Angeli della Morte, ossia spiriti, anime di altre persone defunte, che invece di entrare nella Luce eterna, sono stati incaricati di un altro compito, il più gravoso e importante: quello di aiutare gli altri ad accettare serenamente il trapasso e a raggiungere la Luce. E per fare ciò, prendono le sembianze di persone defunte alle quali siamo particolarmente legate.

Vi è tuttavia da dire che gli Angeli della morte possono entrare in gioco anche prima di questo momento. È infatti uno dei pochi angeli che ha la possibilità di venire anche nell’Aldiquà, avvicinandosi nella vita di una persona tempo prima che questa sia destinata a finire, per affiancarla ed aiutarla in questo percorso.

Sono quindi loro i veri “traghettatori” nell’Aldilà e, malgrado il loro nome, assieme all’Angelo custode, devono essere considerate figure particolarmente amichevoli e di aiuto.

domenica 10 giugno 2012

La mia prima esperienza premorte.


Avevo 6 anni ed ero entrato in ospedale per un intervento così banale da essere considerato di routine. Ma qualcosa andò storto. Per cause che ancora oggi restano poco chiare, il mio fisico sviluppò una reazione allergica all’anestetico. Andai in coma per 36 ore e l’intervento non fu mai eseguito.

Vissi per la prima volta quello che oggi viene denominato un fenomeno di Near-Death Experience (NDE) o più comunemente stato di premorte e che appunto si verifica nei soggetti che, dopo aver subito un trauma fisico o una malattia terminale, sono sopravvissuti.

Numerosi sono gli studi e le indagini sulle esperienze premorte: non è un fenomeno così limitato, anzi. Il 15% dei pazienti rianimati dopo un arresto cardiaco, malgrado un encefalogramma piatto, racconta di esperienza premorte. Queste crescenti testimonianze hanno portato medici, studiosi e scettici a studiarne cause, contenuto e dinamiche. Ciò che si può concludere è che tutti i racconti si assomigliano molto, indipendentemente dal sesso, dall’età, dalla religione, dal livello di istruzione e da precedenti informazioni sulle NDE. L’esperienza classica è la visione di un tunnel con una luce bianca sul fondo, l’incontro con parenti o entità defunti, la visione della propria intera vita o di eventi futuri. Ma vi possono essere anche esperienze extracorporee (dette OBE, Out of Body Experience), con percezione del proprio corpo visto dall’esterno.

Durante la mia prima esperienza premorte, ricordo di essermi trovato nella frazione di un istante in un luogo sconosciuto, un lungo viale in fondo al quale riconobbi un signore distinto, vestito di scuro, accompagnato da un grosso cane nero, forse un alano. Non avevo paura, anzi vivevo la situazione con grande serenità.
In quello spazio fuori dal tempo vidi colori che non appartengono a nessuna scala cromatica esistente, vivi, pieni, luminosi e udii suoni come di musica, che sapevano scuotermi l’animo da dentro, in un turbinio di gioia e nel contempo di pienezza che nella mia esperienza corporea non avevo mai vissuto prima.
Fui rassicurato da questo signore che sarei dovuto tornare, che non era il mio momento. Questo mi tranquillizzò anche se di là la vita di tutti i giorni mi appariva ormai come qualcosa di veramente relativo, una sorta di gioco visto dall’alto o comunque da fuori, qualcosa per cui non valeva la pena disperarsi. Mi dissero anche quale sarebbe stato il mio scopo una volta che fossi tornato e che la mia vita vera sarebbe iniziata al mio ritorno.
Poi nel momento in cui toccai il cane, mi risvegliai.

Vidi il volto di mia madre accanto al letto, le sorrisi e le chiesi un piatto di spaghetti al ragù: era il mio modo per celebrare il ritorno, una sorta di banchetto per ricaricarmi il fisico e l’anima.

Malgrado non parlai a nessuno di quanto avevo vissuto, dentro di me sentivo crescere la consapevolezza di una delle mie missioni terrene: aiutare gli altri a relativizzare e sconfiggere la paura della morte.


lunedì 4 giugno 2012

Perché la morte fa paura?


Il modo con cui ci rapportiamo alla morte influisce fortemente sul modo in cui affrontiamo la vita stessa. È più facile dare un senso a questa vita se riusciamo a dare un senso anche alla morte, non soltanto come la fine di un’esistenza ma come una rinascita in un’altra dimensione.
Al di là della mia esperienza e dei miei doni che mi permettono di essere personalmente convinto di una vita ultraterrena, mi piacerebbe poter provare a chi mi ascolta e non mi crede, che effettivamente è così!
Non si tratta di un discorso teorico o sovrannaturale fine a se stesso. L’approccio all’idea della morte non riguarda soltanto il modo in cui ci confronteremo con il “dopo”, ma anche come affrontiamo il presente, il “qui e ora”. Credere o anche soltanto prendere in considerazione una vita dopo la morte può infatti aiutare a superare molte difficoltà che la vita stessa ci riserva. Mi riferisco a un lutto di una persona cara, ad esempio. O a una malattia mortale. Comprendere e accettare, senza creduloneria, una vita oltre la soglia, offre gli strumenti per gestire ed elaborare questi momenti particolarmente difficili, trovando delle risposte dentro di se, che ci confortano l’animo. E dunque a vivere più serenamente.
Resta comunque il fatto che la paura non è sempre facile da allontanare. A parole è chiaro, ma quando ci si trova in certe circostanze è complicato rimuovere i timori. Ho conosciuto persone che semplicemente si rifiutano di parlare della morte, quasi fosse un fatto che non le concerne e non le concernerà mai. È raro incontrare persone che parlino del morire, soprattutto in relazione a se stesso o ai propri famigliari, come un avvenimento naturale. La maggior parte di noi fugge il discorso, addirittura c’è chi concretamente fugge di fronte alla malattia incurabile o a uno stadio terminale di un proprio conoscente o amico, quasi fosse contagiosa. O semplicemente perché non si sa cosa dire, come affrontare l’argomento.
Il mondo che ci circonda non insegna a morire. Tutto è fatto per nascondere la morte, per indurci a vivere senza pensarci, in una continua tensione verso sempre nuovi progetti e obiettivi da raggiungere nel campo dei valori materiali. Ma se ci pensiamo bene, la paura è unicamente dettata dal non conoscere e da un'immaginazione negativa della realtà. Non la morte in sé, ma il non sapere che cosa ci sia dopo e il timore che con l’ultimo battito si esaurisca tutto. Se così fosse la vita stessa perderebbe di significato.
Sono convinto che ciò che muore è unicamente l’involucro del nostro essere, quello che ci è stato donato (o forse prestato) per vivere la vita terrena e con il quale ci siamo identificati. Ma la nostra essenza, la nostra anima, non muore come noi lo intendiamo.