Non ho avuto un’infanzia facile.
Già intorno all’età di tre anni ho iniziato
a vedere attorno a me volti o figure che mi accompagnavano silenziosi ovunque
andassi. Poco a poco ho imparato a comunicare con loro, cosicché riuscivo a
godere della loro compagnia, senza peraltro pormi grandi domandi di chi fossero
e da dove venissero queste entità. Per me erano semplicemente degli amici.
Inizialmente in famiglia non prestarono
troppa attenzione a questo mio isolamento dalla realtà; spesso i bambini si
ritagliano un mondo di amici immaginari che svaniscono con la crescita.
A seguito della prima NDE, la mia
infanzia subì un ulteriore forte cambiamento e in un certo modo fu vissuta in maniera più
restrittiva rispetto ai miei coetanei. I miei genitori, temendo per la mia
incolumità a causa dell’allergia agli anestetici e avendo paura che mi facessi
male, diventarono ancora più protettivi: niente partite di pallone, nessuna
scorribanda con altri bambini, era meglio stare a casa. E quindi spesso mi
ritrovavo solo nella mia camera, isolandomi ancora di più nel mio mondo.
Pur essendo troppo giovane per dare un senso
a tutto ciò che vivevo, dopo la NDE mi sono reso conto che le entità che avevo
incontrato oltre la soglia erano le stesse che vedevo tutti i giorni e che
c’era quindi un collegamento con un mondo ultraterreno. Inoltre, in alcuni
periodi soffrivo pure sul lato fisico, con improvvise, prolungate e inspiegate
febbri.
Ammetto che la situazione non era semplice
da gestire né per me, né per i miei genitori che erano evidentemente
preoccupati.
La razionalità di mio papà lo portava
semplicemente a vedermi come un bambino malato. Cercò risposte nella medicina e
nella psichiatria, portandomi in analisi da specialisti e luminari nella
speranza di ottenere risposte che mai arrivarono. Non avevo nulla di
patologico. Mia mamma, con la sua fede, era invece più propensa a credere che fossi
vittima di qualche forza negativa non ben identificata e mi fece girare diversi
esorcisti e sacerdoti. Ma anche in questo caso, nessuno sapeva dare una
spiegazione, non avevo nulla di diabolico…
Dal canto mio, percepivo ma non comprendevo
appieno la mia diversità. Certo, se mi paragonavo ai miei coetanei non mi
vedevo come loro, ma fortunatamente non me ne importava granché, non sono mai
stato un conformista. Ho imparato a gestire la situazione con i miei (pochi)
amici, semplicemente evitando di raccontare loro le cose che vedevo e sentivo e
dandomi da fare per comportarmi in maniera “normale”. Con il passare degli anni
ho pian piano accettato questo mio mondo, senza mai farne né un vanto, né un handicap,
anche se non sempre si tratta di situazioni piacevoli o positive da vivere sia
sul piano fisico che spirituale.
Mi rendo conto del rischio che corro - oggi
come allora - di non essere creduto o essere considerato folle o semplicemente
ridicolo. Spesso ancora taccio o sorvolo di fronte al palese scetticismo o alla
strafottenza di alcune persone, perché so che fondamentalmente è dettata dalla
paura dell’ignoto.
La mia forza resta comunque la
consapevolezza che le mie doti, indipendentemente se la persona che ho di
fronte ci creda o meno, la possono aiutare. E di questo ne vado fiero.
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